Bolognini scrive a De Rita sui problemi della montagna

Conduzione terreni e forestale
14 maggio 2009

In vista del convegno organizzato dall’Associazione Coltiviamo il Futuro, svoltosi il 12 marzo al Tempio di Adriano a Roma, con la partecipazione di Jeremy Rifkin,Giuseppe De Rita, Paolo Zaia e Giulio Tremonti, Teodoro Bolognini, Responsabile Filiera Silvicoltura Forestazione Ambientale, ha inviato a Giuseppe De Rita, Segretario Generale del CENSIS, già presidente Cnel, la lettera che pubblichiamo di seguito:

“Egregio Prof. De Rita, Le scrivo a nome dei firmatari della Carta di Fonte Avellana. Si ricorda, venne ad Ancona quel 18 dicembre 1997 a proporsi, come Cnel, a supporto e accompagnamento di un percorso di cui a Lei non sfuggiva l’importanza. In questi giorni stiamo ultimando una pubblicazione, insieme alla Regione Marche, in cui ripercorriamo le tappe di un cammino che iniziava sì con la Carta ma si inseriva in un crescendo di attenzione verso la Montagna di cui la I e la II Conferenza della Montagna (1995/1998) organizzate dal Cnel/Uncem rappresentarono i momenti di elaborazione più alta. In questi 15 anni siamo riusciti a fare ciò che appassionati tifosi ci incitarono a fare: da “cani da guardia” alla Carta; lavoro ingrato, frustrante ma, ex post, “utile”. Sa perché? Ci siamo andati a rileggere l’intervento di apertura della I conferenza da lei svolto il 18 dicembre 1995, un intervento dai contenuti avveniristici tanto da non esserne stata compresa la lungimiranza. Poneva alla Montagna, depositaria della storia, della cultura della sequenza e di un’economia rurale in progressiva estinzione, la sfida di intercettare la cultura della modernità, cultura dell’evento, della competizione, delle relazioni. Grande provocazione per quei tempi nei quali la solidità delle cultura della sequenza veniva derisa dalla cultura dominante della modernità imperniata sul “citius, altius, fortius”. Aver fatto da “cani da guardia”, ci consente oggi di riconsegnarLe quei ragionamenti intatti e carichi di disarmante attualità. Purtroppo la bolla speculativa sta facendo esplodere, come bolla di sapone, quella cultura della modernità che lei già allora denunciava in tutta la sua fragilità. Perché le scriviamo? Perché la vediamo fra i relatori al convegno di giovedì prossimo su “Terra e Persona:…” e perché pensiamo che all’analisi condivisibile, sintetizzata nella didascalia di presentazione, pensiamo ci debba essere posto per rilanciare quella cultura della sequenza a cui Lei aveva dato contenuti economici, sociali e culturali forti. Le scriviamo anche perché pensiamo che oggi ci sia anche un fattore “tempo” che allora tutti pensavamo di avere e che oggi non c’è più. Nel poco tempo che ci rimane per decidere, perché non notiamo la convinzione che qualsiasi attività di rilancio di questo Paese non può prescindere dal porre mano alla più grande infrastruttura: il rassetto idrogeologico e la manutenzione del territorio? Perché non ci viene detto, dopo le generiche enunciazioni, in cosa consiste quella politica di “diversificazione” tanto implorata in risposta alle crisi di saturazione del manifatturiero? perché accanto ai miliardi di euro stanziati per le infrastrutture non ci sono i 250 milioni (un’inezia al confronto) individuati dall’allora ministro dell’Ambiente, Altiero Matteoli, nel decreto a sua firma del 16/06/2005, come fabbisogno annuale per aprire il grande cantiere di gestione dei boschi italiani (4 milioni di Ha, 40% del territorio di montagna), come peraltro ci impone il protocollo di Kyoto? Professore, ci dica lei, noi possiamo anche continuare per un po’ a fare quel che abbiamo fatto finora ma se il vento che aleggia si tramuta in tempesta, non saremo più in condizioni di garantire neppure la ‘guardia’. Con grande stima”.


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